Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/281

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la marchesa di spigno 267

alcuni dei quali occupavano alte cariche e insisteva con tanta bontà e con preghiere così affettuose....

— Oh! come si riconosce in tutto questo, — continuò la marchesa, — la viltà degli uomini che diventan feroci e implacabili per paura! Perchè fu per paura, che il ministro d’Ormea, coi suoi complici, suscitò nel cuore di Carlo Emanuele i più iniqui sospetti e lo spinse alla barbarie; per paura del suo vecchio re, del suo antico benefattore, del quale sapeva d’aver provocato lo sdegno; fu per paura, fu per ambizione di grandeggiare davanti a Carlo, come salvatore dello Stato; fu per pigliar padronanza su di lui, e appagare il furore malaugurato di despotismo che lo divorava. Non può esser stato che suo il pensiero di quello spaventevole arresto notturno, che diede l’ultimo tracollo alla salute d’Amedeo, come non può esser nata che nel capo d’una donna l’idea di cacciar me in quella immonda prigione; in capo alla regina Polissena, a cui ho sempre letto l’odio negli occhi, e che non essendo capace di pietà, credeva me incapace d’affetto. Io non l’amavo Vittorio Amedeo! Io non l’avevo amato mai!... Ebbene, è vero; ci fu un tempo in cui l’ambizione soffocò l’affetto nel mio cuore, dei giorni in cui non amai che il re nel mio sposo. Me ne accuso e me ne vergogno. Ma quando ogni ambizione fu morta e la sventura lo colpì.... quando in quella sciagurata fortezza seppi che il mio povero re, chiuso nel castello di Rivoli, mi cercava, e interrogava di me con parole supplichevoli le guardie mute, e mi chiamava