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e l’agronomo, che aveva dei terreni a Bricherasio, negava, voleva che si riconoscesse la superiorità del vino di Bricherasio. La questione era trattata da una parte e dall’altra con una serietà, con un calore, con uno sfoggio di argomenti e di termini tecnici, che non se ne può fare neanche un’idea chi non è nato nel paese del Grignolino e del Barolo. Chi avesse visto le faccie e i gesti senza intender le parole, avrebbe creduto che discutessero uno dei più alti problemi di filosofia. Tutti e due, ragionando, movevano davanti a sè la mano destra, con le punte del pollice e dell’indice riunite, e l’altre dita distese, a modo dei predicatori; e alzavano di tratto in tratto gli occhi al cielo, allargando le braccia, in atto di dire: — Santissimo Iddio, perdonategli questa bestemmia! — Infine,— disse l’agronomo, — il nostro amico giudicherà; — e chiamò l’albergatore, vinaio illustre e consigliere comunale, per domandargli se era in grado di fornirci gli elementi del giudizio. L’albergatore sorrise in atto di compatimento: ci aveva dell’uno e dell’altro, di cinque o sei anni, dinnonplussutra, come dicon le ciane fiorentine. Eran domande da fare a un par suo? Tutto il circondario conosceva la sua cantina. Ci servì subito. Fui eletto arbitro. Mi misero una bottiglia di Bricherasio a destra e una di Campiglione a sinistra, e mi fecero un cenno tutti e due, che significava: “Giusto giudicio dal tuo labbro caggia.„ Quella solennità mi fece ridere. Ma l’agronomo non scherzava; si ebbe anzi quasi a male del mio ridere. — No, scusi, — mi disse, col viso serio, — la quistione è ab-