Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/343

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i difensori delle alpi 329

spazio per il passaggio dei battaglioni, tra i palchi e i portici, ed anche quel piccolo solco, aperto di viva forza nella piena umana, continuamente si richiudeva, quasi che la folla ne soffrisse come d’una ferita. Gli Alpini dovevano sfilar per plotoni, venendo giù dalla valle del Chisone: da due giorni erano accampati là, dall’abbadia fino a Perosa, e ne formicolava tutta la valle, come se fosse calato un esercito dal Delfinato. La testa della colonna era già alle prime case di Pinerolo. Tutto era proceduto e procedeva bene, anche lassù, dove s’eran dileguate fin dall’alba, sotto gli sguardi severi del Rogelli, le ultime nuvole d’un breve temporale della notte.

Allo scoccar delle dieci, annunziato dagli squilli di cento trombe e accolto da un applauso che parve il fuoco di fila d’una divisione, comparve il Re.

Nello stesso punto si videro spuntare in fondo alla piazza la penna bianca del Comandante del primo reggimento, e le penne nere del primo battaglione.

Un aiutante di campo portò l’ordine di cominciar la sfilata, le bande suonarono, la folla immensa si scosse, come corsa da una scintilla elettrica, e poi tacque per alcuni secondi, profondamente.



Il colonnello del primo reggimento s’avanzò. Il battaglione Alto Tanaro si mosse.

All’apparire delle nappine bianche della prima compagnia, scoppiò un applauso e un evviva che fece rintronare la piazza, e dalle finestre