Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/361

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i difensori delle alpi 347

riuscire a mettere l’una sull’altra quattro pietre dei loro monti, per morirvi sotto, dicendo: — Muoio nella mia valle e in casa mia! — Ed era ancora l’amore appassionato dei loro monti che metteva in tutti quei capi un solo proposito, visibile negli occhi intenti e nelle fronti corrugate; l’impegno di mantenere le file diritte e parallele a prova di spago, perchè si dicesse: — Come hanno sfilato bene quelli delle tre valli di Stura! — E i cinquecento montanari passarono, allineati come veterani, rispondendo appena con un leggerissimo sorriso degli occhi immobili all’acclamazione della folla; la quale li seguitò con lo sguardo e col grido, fin che apparve dall’altra parte della piazza una nuova penna candida di colonnello, che annunziava i figli d’altre valli e d’altre montagne.


Dal movimento che si fece nella folla si poteva argomentare che il primo battaglione che veniva innanzi dovess’essere un battaglione di conoscenti e di vicini. Era quello di Val Pellice, infatti; formato di giovani di Torre, di Bobbio, di Rorà, d’Angrogna, del fiore dei montanari scomunicati; ma già dimentichi del passato, nati già oltre a dieci anni dopo la redenzione civile dei loro padri; e frammisti ai figli della Rocca di Cavour, ai compaesani del Pellice, del Denina e del Brignone, e ai soldati di Cumiana e di Villafranca. Appena il primo plotone comparve, qualcuno gettò un grido: — I Valdesi! — E quel grido, quell’idea di veder confusi con gli altri quei soldati, in un battaglione nominato dalla loro valle, destinato a combattere sulle