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stanze. Un principe d’Acaja redivivo non ci si raccapezzerebbe più, sicuramente. Un luccichìo che intravedemmo per uno spiraglio, ci fece accorrere con la speranza di ritrovar delle antiche armature: erano le casseruole della cucina. Mi prese la stizza. Era così penoso quel contrasto fra la curiosità stimolata da mille memorie, fra l’avidità impaziente di vedere, di riconoscere, di scoprire, di capire, e la nudità muta, la stupida ignoranza di quei muri freschi e di quelle scale rifatte! Avrei voluto afferrare un raschiatoio e un piccone, e lavorar come un dannato a scrostar pareti, a sfondar tramezzi, a metter tutto in un monte, per ritrovare un segreto, una immagine viva, una parola almeno del passato! Perchè debbono averne visto quelle vecchie pietre nascoste, e furori d’ambizioni disperate, e scoppi di pianto geloso, e tripudi di vincitori, e audacie insensate di paggi, e secreti d’amore e forse di sangue!



Girammo lentamente di stanza in stanza, vedendo ogni tanto per certi finestrini ad arco acuto degli squarci luminosi di paesaggio lontano: la cosa che è meno mutata attorno al palazzo, credo io. E mi tornava continuamente in capo questa domanda: — Come vivevano? In che maniera avranno ammazzato le loro giornate, qua dentro, nei tempi ordinari? E m’immaginavo, non so bene perchè, delle ore interminabili di noia in mezzo al grande silenzio di