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Pagina:Aminta.djvu/34

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34 Atto Primo.

Taci, non ti lagnar, Filli, perch’io
Con parole d’incanti leverotti
Il dolor de la picciola ferita.
A me insegnò già questo secreto
La saggia Aresia, e n’hebbe per mercede
Quel mio corno d’Avolio ornato d’oro.
Così dicendo, avvicinò le labra
De la sua bella, e dolcissima bocca
A la guancia rimorsa, e con soave
Susurro mormorò non sò che versi.
O mirabili effetti. Sentì tosto
Cessar la doglia, ò fosse la virtute
Di que’ magici detti, ò, com’io credo,
La virtù de la bocca,
Che sana ciò che tocca.
Io, che sino à quel punto altro non volsi,
Che ’l soave splendor de gli occhi belli,
E le dolci parole, assai più dolci,
Che ’l mormorar d’un lento fiumicello,
Che rompa il corso frà minuti sassi,
O che ’l garrir de l’aura infrà le frondi,
Allhor sentij nel cor novo desire
D’appressare à la sua questa mia bocca.
E, fatto non so come astuto, e scaltro
Più de l’usato, (guarda, quanto Amore
Aguzza l’intelletto) mi sovvenne
D’un inganno gentile, co ’l qual’io
Recar potessi à fine il mio talento:
Che, fingendo, ch’un’ape havesse morso
Il mio labro di sotto, incominciai


A la-