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Scena Seconda. 35

A lamentarmi di cotal maniera,
Che quella medicina, che la lingua
Non richiedeva, il volto richiedeva.
La semplicetta Silvia,
Pietosa del mio male,
S’offrì di dar aita
A la finta ferita, ahi lasso, e fece
Più cupa, e più mortale
La mia piaga verace,
Quando le labra sue
Giunse à le labra mie.
Né l’Api d’alcun fiore
Coglion sì dolce il mel, ch’allhora io colsi
Da quelle fresche rose,
Se ben gli ardenti baci,
Che spingeva il desire à inhumidirsi,
Raffrenò la temenza,
E la vergogna, ò felli
Più lenti, e meno audaci:
Ma, mentre al cor scendeva
Quella dolcezza mista
D’un secreto veleno,
Tal diletto n’havea,
Che, fingendo, ch’ancor non mi passasse
Il dolor di quel morso,
Fei sì, ch’ella più volte
Vi replicò l’incanto.
Da indi in quà andò in guisa crescendo
Il desire, e l’affanno impatiente,
Che, non potendo più capir nel petto,


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