Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/351

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esibir danari più dell’altro1553. Era Giuliano, di nobil casa nativo di Milano. Dione1554 chiama quella città patria di lui, e vi fu relegato da Commodo per sospetto che fosse complice della pretesa congiura di Salvio Giuliano. Discendeva, per via di padre o pur di madre, dal celebre giurisconsulto Giuliano. Nato nell’anno 133 di Cristo, avea passati i suoi anni in vari impieghi civili e militari con riputazione, governate provincie, ottenuto il consolato in compagnia di Pertinace. Parlano indifferentemente dei di lui costumi gli scrittori1555, facendolo gli uni un avaro, altri un crapulone. Dione, ch’era forte in collera contra di lui, giugne fino a dire, che fu dedito alla magia. Convengono poi tutti in dire, ch’egli era sommamente denaroso, e che con tal fiducia si fece innanzi per comperar l’imperio da chi volea venderlo. Entro il quartiere de’ pretoriani si trovava anche Sulpiciano, siccome dissi, a questo traffico. Andavano innanzi indietro sensali per vedere chi più offeriva; ed era già a buon segno Sulpiciano, coll’aver promesso ventimila nummi per testa, che da alcuno son figurati quattrocento scudi romani, o filippi, ed a me paiono somma eccessiva. Ma restò superiore Giuliano con prometterne venticinquemila, dicendo anche di averli in cassa e con far conoscere ai pretoriani, che facevano un mal contratto accordandosi coll’altro, il quale, siccome suocero di Pertinace, avrebbe saputo ben vendicarlo. Viva dunque l’imperador Giuliano, gridarono allora i pretoriani, tanto più inclinati a costui, perchè prese il nome di Commodo, e si mostrò amico della di lui memoria. Dopo aver promesso, secondo le loro istanze, di non nuocere a Sulpiciano, creò prefetti del pretorio Flavio Geniale e Tullio Crispino. Verso la sera s’inviò Giuliano alla volta del senato1556, scortato più del solito da una copiosa masnada di pretoriani, tutti in armi, come se andassero a battaglia per timore del popolo. Allora i senatori, ancorchè in lor cuore detestassero questo mercatante della dignità imperiale, e fra gli altri Dione sapesse di non essere molto in grazia di lui, perchè caro già a Pertinace, e perchè in trattar varie cause avea aringato forte contra del medesimo Giuliano; pure ognun di essi, accomodandosi al tempo, andò frettolosamente alla curia. Comparso colà Giuliano, parlò senza giudizio, chiamando sè stesso degnissimo dell’imperio, dicendo di essere venuto solo, acciocchè il confermassero imperadore, quando seco avea tante schiere d’armi, e molti di essi soldati nello stesso senato, che poteano dar polso a tali preghiere. Mostrò ancora di conoscere ch’essi l’odiavano. Ciò non ostante fu confermato e passò al palazzo. Prima di cena fece dar sepoltura al corpo di Pertinace. Non avea detto una parola di lui nel senato, e non ne disse mai più per non dispiacere ai pretoriani. Vuole Sparziano ch’egli cenasse con della malinconia. Dione, all’incontro, ch’egli si mostrò allegro, giocò ai dadi, e fece entrare in sua camera Pilade ballerino con altri buffoni. Furono la mattina seguente senatori e cavalieri ad inchinarlo e a rallegrarsi, ed egli con somma cortesia accolse ognuno. Una mascherata era quella, perchè gli uni da burla si congratulavano, ed egli fingeva di credere ciò che sapea non essere vero1557. Si portò egli dipoi al senato, ed allorchè era per fare un sagrifizio, il popolo cominciò con alte voci a gridare ch’egli era un parricida, un usurpatore dell’imperio. Giuliano, senza alterarsi, mostrò loro la borsa come promettendo loro un donativo, o pur colle dita accennò quante migliaia volea donar loro. Ed essi più che mai incolleriti gridavano: Non ne vogliamo; no, che non ne vogliamo,