Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/609

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se Costantino avesse violati i patii, ed esercitata una prepotenza nel paese non suo. Fece quanto potè Costantino per giustificar l’azione sua, e mostrar indiscreti que’ lamenti. A nulla giovarono le lettere e deputazioni. Licinio non ammettendo scuse, più che mai parlava alto col cognato Augusto, di maniera che Costantino, perduta la pazienza, alzò anch’egli la testa, e non facendo frutto le minaccie, venne in fine a guerra aperta con esso Licinio. Era già assai tempo che si conoscevano raffreddati gli animi di questi due Augusti e cognati. Licinio, se crediamo all’apostata Giuliano3191, era odiato da Dio e dagli uomini per l’abbondanza ed enormità de’ suoi vizii. Imperocchè, per attestato d’Eusebio3192 e di Aurelio Vittore3193, la brutalità sua nella libidine si tirava dietro la detestazione d’ognuno, perchè non era sicura l’onestà di persona alcuna o vergine o maritata, dalle di lui violenze; nè bastando a lui di svergognar dal suo canto le famiglie più nobili, permetteva anche ai suoi cortigiani di saziar, come volevano, le lor voglie impure senza rispetto alcuno alle case più riguardevoli. Di tutto ciò è da credere che fosse ben mal contento l’Augusto Costantino, da che a lui avea conceduta Costanza sua sorella in moglie. Superiore nulladimeno alla di lui sfrenata libidine era l’avarizia, febbre sua oltre modo cocente. Da questa provenne un’infinità di mali, perchè per adunar danari s’inventavano ogni dì nuovi pretesti; e gran disavventura si riputava allora l’essere facoltoso, perchè non mancavano mai accusatori e delitti da gastigare, cioè da spogliare gl’innocenti de’ loro beni. Non mancavano già aggravii reali e personali ai popoli; ma Licinio sapea far3194 ben crescere questa gravosa mercatanzia, coll’inventar nuovi estimi, e far trovare più campi dove non erano, e far risuscitare chi da gran tempo più non si contava tra i vivi. Seppe anche trovar la sua avarizia delle insolite gravezze per cavar dai testamenti e dai maritaggi grosse somme di danaro. E pure con tutto il suo succiar continuamente il sangue de’ suoi popoli, ed ammassar tesori, il bello era che tutto dì egli si lagnava di essere poverissimo e miserabile, come in fatti son tutti gli avari, i quali non godono quel che hanno, e muoiono sol di voglia di quel che non hanno. Osservavasi oltre a ciò in lui un’esecrabile crudeltà, col non volere che alcuno assistesse ai prigioni, sotto pena d’essere cacciato nelle medesime carceri, e proibendo l’aver compassione d’essi, e il somministrar da mangiare a chi si moriva di fame, facendo con ciò diventare un delitto le opere della misericordia. Se un principe tale fosse amato da’ sudditi suoi, non occorre ch’io lo ricordi ai lettori. Tutto il rovescio era l’Augusto Costantino, di modo che Eusebio3195, scrittore che fioriva in questi tempi, ebbe a dire che l’imperio romano, diviso allora fra questi due principi, parea simile al dì e alla notte. La parte di Costantino, cioè l’Occidente, compariva un bel giorno sereno; ma l’Oriente, dominato da Licinio, si poteva affatto assomigliare alla notte.

Ma ciò che maggiormente a Costantino riuscì dispiacevole, e da non sofferire nell’indegno suo cognato Licinio, fu la persecuzione da lui mossa contra dei Cristiani, il numero de’ quali nelle provincie dell’Asia e dell’Egitto di gran lunga a proporzione superava quei dell’Occidente. Già dicemmo ch’egli cacciò di sua corte chiunque professava la religione cristiana. Ordinò poscia che i vescovi non potessero celebrar concilio alcuno; che il popolo cristiano non potesse raccogliersi nelle chiese per fare le sue divozioni, ma che loro fosse lecito