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Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/95

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129 ANNALI D'ITALIA, ANNO XXXIX. 130

agli stessi Germani, i quali s’avvidero per tempo della di lui vanità e paura, nè ebbero più apprensione alcuna di lui. Il tempo preciso di queste sue ridicolose prodezze non è assegnato dagli antichi scrittori.

Diedero per lo contrario da piagnere alla Gallia le inaudite sue estorsioni per far danaro. Non contento dei regali che gli portavano i deputati delle città, si applicò a far morire i più ricchi di quelle contrade sotto diversi pretesti; occupando le lor terre, e vendendole dipoi anche per forza a chi non ne avea voglia, ed era obbligato a pagarle molto più che non valevano. Trovandosi un giorno al giuoco, gli fu detto che mancava il danaro. Fecesi tosto portare i catasti dei beni della Gallia, comandò che i meglio possidenti fossero privati di vita; rivoltosi poi agli altri giocatori, disse: «Voi giuocate di poco; ma io giuoco a guadagnar sei milioni.» Profuse bensì un gran danaro in regalar le milizie, ma insieme cassò molti uffiziali; ad altri assaissimi negò la promozione dovuta; e a gran copia di soldati per capricciose ragioni fece levar la vita. Soprattutto risonò la morte da lui data a due dei suoi principali magistrati. L’uno fu Gneo Lentolo Getulico della primaria nobiltà romana, che per dieci anni avea tenuto il governo dell’armi della Germania. Perchè egli, secondo il sentimento di Dione, s’era guadagnata la benevolenza de’ soldati, questo fu il gran delitto per cui Caligola il tolse dal mondo. Ma probabilmente anch’egli fu incolpato, come mischiato in una congiura tramata contra d’esso Augusto da Marco Emilio Lepido, non so se vera o falsa. Svetonio la dà per vera. Aveva Cajo condotte seco nel viaggio le sue sorelle Agrippina e Livilla, disonestamente amate da lui, e prostituite anche da altri. Lepido era loro parente, sì per essere figliuolo di Giulia nipote d’Augusto e sorella d’Agrippina lor madre, e sì per essere stato marito di Drusilla, loro sorella. La confidenza che [p. 130]passava fra essi a cagion della parentela, degenerò facilmente in un infame commercio, cosa non rara fra i Pagani, seguaci di una falsa e sporca religione. Sapendo le sorelle, quanto fosse odiato il fratello, ed aspirando spezialmente l’ambiziosa Agrippina a divenir imperadrice, macchinarono tutti e tre contra di Caligola, perchè Lepido si prometteva di succedergli. Scoperta la trama, Lepido la pagò con la vita; ed Agrippina e Livilla furono relegate nell’isola di Ponza, con aver anche Cajo obbligata Agrippina a portare a Roma le ceneri del drudo in un’urna. Disse che oltre alle isole egli avea per loro anche delle spade. Scrisse poscia al senato di avere scappato quella pericolosa burrasca, e mandò a Roma i biglietti che attestavano l’impudica lor vita, e la lor lega coi congiurati, e tre pugnali inoltre destinati a torgli la vita, con ordine di consecrarli a Marte vendicatore1. Fece da lì a poco venir nella Gallia tutti gli ornamenti e le suppellettili, gli schiavi, ed anche i liberti delle sorelle per ricavarne danaro (perchè spesso lo scialacquatore ne scarseggiava), e trovato che li vendea ben cari, nella maniera nondimeno che dissi da lui praticata: comandò tosto, che fossero condotte da Roma anche tutte le più belle e preziose masserizie del palazzo imperiale, prendendo per forza tutte le carrette e cavalli che si trovavano per le pubbliche strade, affin di condurle, non senza grave danno e lamento dei popoli. Tutto ancora vendè come all’incanto nella Gallia, e carissimo, perchè volea che si pagasse anche il fumo, con aver messo de’ biglietti sopra cadaun di que’ mobili; in uno d’essi dicea: «Questo fu di mio padre; quest’altro di mio nonno e di mia madre; quest’era di Marc’Antonio in Egitto; questo lo guadagnò Augusto in una tal vittoria;» e così discorrendo. Tutto il danaro poi si dissipò in breve tra le paghe e i regali dei soldati, ed alcuni spettacoli ch’egli volle dar in Lione prima

  1. Sueton. in Cajo, cap. 39.