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bene spesso ho scritto con due b ciò che negli altri Vocabolarî sta scritto con una: questo ho io innovato dall’osservare come noi non mai pronunziamo essa consonante così dolce e molle come fanno i buoni parlatori dell’italiano; in noi è tal veemenza di pronunzia da renderla doppia, e quel che è più, non conosciamo quasi altro suono; l’istesso ho osservato della g: ma ho dovuto piegarmi a volte scriver una b o una g in principio della parola per non fare troppe novità. Ho tolto la s nelle parole come: sciumi ecc. osservando che diverso è in noi il pronunziare sciogghiri e ciumi, quindi non doversi confondere nel modo di scriverle. In quanto alla s preceduta dalla n mi regolo coll’uso invalso in coloro che hanno scritto in dialetto: noi, parmi, pronunzieremmo meglio z tale s: senzu meglio che sensu.

Non parmi fuor di proposito far qui notare alcune regole per noi siciliani in fatto di pronunzia italiana. Alcuni volendo dare norme sulla e ed o stretta o larga italiana dissero: la e italiana proveniente dalla i latina, fosse stretta, così in seno la e essere stretta perchè in latino si dice sinus; ed allora essere larga la e italiana quando provenisse dalla e latina, come perdere colla e larga perchè in latino perdere: la o italiana proveniente dalla u ‘latina, fosse stretta, come pozzo colla o stretta perchè puteus in latino; e invece dove la o italiana provenisse dalla o latina, fosse larga, come: popolo colla prima o larga perchè in latino populus. Or questa norma sarebbe pei conoscitori del latino, e per coloro i quali non sapessero buccicata di latino?... Ecco altra norma parimenti generale, ma più adatta pe’ siciliani non latinisti, che io ho desunto da attente osservazioni fatte in udendo parlar i Toscani e comparando alla loro parlatura sempre la nostra. Quando una nostra voce volta in italiano cangia la i in e, questa e la si pronunzia stretta, come: lignu, sita, sira si fanno legno, seta, sera colla e stretta; quando però sì nel dialetto che nella lingua vi rimane la e questa è larga, come: lepri, bellu, servu in italiano sono lepre, bello, (add.) servo colla e larga. Parimenti la nostra u volta in italiano fa o stretta, come: lucanna, luntanu, russu, munnu, in italiano fanno locanda, lontano, rosso, mondo colla o stretta; mentre se tanto nel dialetto quanto nella lingua evvi medesimamente la o essa è larga, come: morsa, rosa, morti, in italiano fanno morsa, rosa, morte colla o larga. Ma tale regola fallisce ella? Sicuro! poichè alcune voci vernacole colla o e colla e non riescono in italiano colla o e colla e larga, come lesina, beni, lordu che a dispetto di quanto ho detto escono in o od in e stretta: ma che ne cale di ciò? In regola potrà in ogni modo far evitare una metà o due terzi buoni di mala pronunzia. Notisi per incidenza come queste u ed i da noi usate per le o ed e italiane, furon di sovente anco usate dagli antichi scrittori italiani, per cui non è barbarie nostra ma residuo latino che pur fu già della lingua nazionale; e perciò io ho citato, ove mi è venuto fatto, voci italiane antiche per comprovar quanto dico. In sul proposito di pronunzia abbiasi cura di sfuggire quanto per noi si può il pronunziar alcune consonanti, come facciamo, con tal veemenza che si raddoppiino, che spesso odesi de’ nostri favellando italianamente pronunziare bbuono, rroma, ggente, dazzio, nnemico invece di buono, roma, gente, dazio, nemico e pur quel vizio di pronunziare quechto (ch Francese sci) che è tutto modo della regione Palermitana, Il vizio di pronunziar doppie molte consonanti che son in principio mi tennero in bilancia lunga pezza se avessi dovuto re-