Pubblicamente, perocchè il cattivo
Minacciommi che s’io lunge le mani
Non tenessi da lui, mentre lo sdegno
Egli ancor contenea, di quel che poi 135Ne seguirebbe accuserei me stessa.
Sorrisero le dive, e l’una e l’altra
Si guardâr di sottecchi. Corrucciata
Venere allor così riprese: Agli altri
Son di riso i miei guai: non mi sta bene 140Narrarli, no: basta li sappia io sola.
Or poichè d’ambe voi questo è il desio,
Prova farò di raddolcirlo, e spero
Non restìo mi sarà. Disse, e Giunone
Le prese in man la dilicata mano, 145E con dolce sorriso le soggiunse:
Or così, Citerea; fa tosto adunque
Come far ne prometti, e nè disdegno
Non mostrar, nè rancore, e non far lite1
Col figliuol tuo: s’abbonirà dappoi. 150Surse in quel dire, e Palla anch’essa, ed ambe
Fêr di quivi partita. Allor Ciprigna
Mosse in traccia di lui per li recessi
Qua e là d’Olimpo, e in appartato loco
Lo rinvenne, di Giove entro un fiorito 135Orto, con Ganimede, il giovinetto
Cui Giove in ciel fra gl’immortali assunse,
Di sua bellezza innamorato. Insieme
Stavano là come fanciulli amici
↑Var. al v. 148. Mostrar, nè irata rinnovar litigi