Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/238

Da Wikisource.
212 argonautica.

     Quelle, ond’io già non decorosamente,
     Anzi con impudente ardir fuggii
     470La mia patria, la mia splendida casa,
     I miei stessi parenti, ogni più cara
     Mia cosa in somma? E via lontano e sola
     Portata per lo mar vo con le meste
     Alcïoni, per te, per te che salvo
     475Da’ tori e da’ Giganti, io de’ cimenti
     Vincitor feci; e l’aureo Vello in fine,
     Onde questo passaggio impreso avete,
     Per mio mal senno il ricevesti. Ah! ch’io
     Sovra le donne una grand’onta ho sparsa.
     480Però figlia, sorella e moglie tua,
     Fermo ho in Grecia seguirti; e tu mi sii
     Protettor generoso, e non lasciarmi
     Sola, senza di te, de’ giudicanti
     La sentenza chiedendo. Ah no! tu stesso
     485Fammi difesa, e fermo il dritto sia,
     Ferma la legge che giurammo entrambo;
     O tu qui tosto trafiggi col brando
     Questa mia gola, a fin che degno io m’abbia
     Premio così di mia demenza insana.
     490Misera! se alla man del fratel mio
     Quel giudice m’addice, in cui riposto
     L’arbitrio avete di quel patto iniquo,
     Come al cospetto io ne verrò del padre?
     Molto orrevole in vero! E qual mai pena,
     495Qual soffrir non dovrò duro governo
     Per le audaci opre mie? Ma nè ritorno