Era Tebe di mura ancor non cinta, 935Chè di poco n’avean le fondamenta
Gittate; e Zeto d’un’alta montagna
Il vertice portava su le spalle,
E parea faticante. Il siegue appresso
Anfión d’aurea cetra al suon cantando, 940E spontanea di retro un’altra rupe
Due tanti grande gli venìa su l’orme.1
Quindi espressa con l’ago è Citerea
Foltichiomata, che di Marte imbraccia
Il versatile scudo. Al manco lato 945Su ’l cubito dall’omero e dal petto
La tunica le casca; e al ver simile
Nel lucido brocchier riverberata
Era a vedersi della dea l’imago.
Anco di buoi v’è un pasco erboso, e quivi 950Per quella mandra combatteano i figli
D’Elettrïóne e i Teleboi, tentando
Quei difenderla, e questi intera farne,
Sendo Tafii ladroni, una rapina;
E i molti oppresso aveano i pochi, e il verde 955Prato di sangue era cosperso e molle.
Istorïati anco apparian due cocchi
Gareggianti nel corso. A quel dinanzi
Pelope è auriga, e ne scotea le redini,
E seco ha Ippodamìa: Mirtilo spinge 960I cavalli dell’altro, e ad Enomáo
Ch’è a lui da lato, e l’asta ha in man protesa,
↑Var. al v. 941. Grande due tanti gli venìa su l’orme.