Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/61

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libro i. 35

     Era Tebe di mura ancor non cinta,
     935Chè di poco n’avean le fondamenta
     Gittate; e Zeto d’un’alta montagna
     Il vertice portava su le spalle,
     E parea faticante. Il siegue appresso
     Anfión d’aurea cetra al suon cantando,
     940E spontanea di retro un’altra rupe
     Due tanti grande gli venìa su l’orme.1
     Quindi espressa con l’ago è Citerea
     Foltichiomata, che di Marte imbraccia
     Il versatile scudo. Al manco lato
     945Su ’l cubito dall’omero e dal petto
     La tunica le casca; e al ver simile
     Nel lucido brocchier riverberata
     Era a vedersi della dea l’imago.
     Anco di buoi v’è un pasco erboso, e quivi
     950Per quella mandra combatteano i figli
     D’Elettrïóne e i Teleboi, tentando
     Quei difenderla, e questi intera farne,
     Sendo Tafii ladroni, una rapina;
     E i molti oppresso aveano i pochi, e il verde
     955Prato di sangue era cosperso e molle.
     Istorïati anco apparian due cocchi
     Gareggianti nel corso. A quel dinanzi
     Pelope è auriga, e ne scotea le redini,
     E seco ha Ippodamìa: Mirtilo spinge
     960I cavalli dell’altro, e ad Enomáo
     Ch’è a lui da lato, e l’asta ha in man protesa,

  1. Var. al v. 941. Grande due tanti gli venìa su l’orme.