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poesia è come i bombons: è buona per chi ha mangiato il resto. E non volle andarsene a mani vuote. Dopo aver fatta la corte un pezzo a un bel scialletto di seta, se lo fece dare insieme a un paio di buccolette di mosaico, che lo zio Demetrio aveva mandato dalla Toscana in regalo alla sposa. Arabella l’accompagnò con un sorriso e con uno sguardo di compatimento. Nel suo sfinimento fisico e morale non aveva nemmeno la forza di contraddire.

Avendo la malata bisogno di quiete, Lorenzo trasportò i suoi lari nella stanza che serviva di studio al signor agente di cambio, dove a nessuno faceva male l’odore della pipa; e per tutto il tempo che Arabella stette in letto, cioè fino ai primi di febbraio, non gli dispiacque di ricuperare la libertà dei movimenti, che il matrimonio, la soggezione paterna e un senso d’obbligazione morale gli avevano tolta. Gli dispiacque il brutto caso, che papà Tognino raccontò e spiegò alla sua maniera: cercò di consolare anche lui, alla sua maniera, la povera "Ara bell’Ara", ripetendo la storiella che, morto un papa, se ne fa un altro. Entrava la mattina, sedeva il tempo di rotolare una sigaretta, dava qualche ordine superficiale all’Augusta, e dopo aver ballato un poco sulle gambe, se ne andava colla furia di chi si sente mancar l’aria respirabile.

Arabella, anche quando ricuperò la forza di comprendere e di parlare, non faceva nulla per trattenerlo.

Nelle lunghe ore in cui rimaneva sola, cogli occhi fissi alle tende di pizzo, il suo pensiero, quasi infossato in una ruga della fronte, si proponeva ancora la paurosa questione che l’aveva resa timida e titu-