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lunghe di filugello, e di sopra la bella Olimpia che canta e che non canta...

Un gran colpo di vento scosse le imposte della finestra, la neve picchiò nei vetri, il turbine ululò in gola al caminetto. La fiamma della candela posta sul caminetto, cedendo al filo d’aria, allungò l’anima sullo stoppino. Il Berretta stava ancora brontolando: soffia, scoppia... quando un altro urto di vento spalancò furiosamente le gelosie nella camera della morta.

I becchini non avevano che avvicinate le gelosie per lasciar corso all’aria, e ora la neve, portata dentro da quel demonio di vento, fioccava quasi addosso al cadavere.

— Sacco rotto! — bestemmiò il portinaio — anche questa! Ma se la sora Carolina ha freddo, non so proprio che cosa dire. Vada lei a chiudere: per me non mi muovo. Fossi bestia! già, non piglierà la tosse lo stesso. — E preso al fascino di questa nuova e strana fantasia, cominciò a dispetto della sua volontà, a immaginare che la morta scendesse veramente dal suo letto di legno, si accostasse alla finestra a chiudere: poi tornasse indietro a prendere la candela in terra, aprisse l’uscio del salotto, cacciasse il capo nello spiraglio, agitando l’enorme cuffia sfarfallata, colla bocca aperta e indurita a un oibò!... Era un fascino maledetto, seducente, irresistibile, e se lo creava lui quel tormento birbone per una specie di voluttà poetica; ne soffriva orribilmente, ma non poteva sottrarsene.

— Sei qui?

Il Berretta mandò fuori un ululo d’uomo strozzato...