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Pagina:Arabella.djvu/21

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Era il signor Tognino.

— Pazienza, mi ha fatta una... — e non ebbe la forza nemmeno di nominarla.

Il padrone era entrato così repentinamente nel mezzo delle sue idee, che queste trabalzarono come i bicchierini sopra un vassoio, a cui un matto appioppi un pugno di sotto.



A tutta prima il portinaio stentò a riconoscere il suo padrone di casa. Invece del consueto paltò col bavero di castoro e del solito cappello duro portava indosso in questa delicata escursione notturna un mantello bigio a pieghe fitte e pesanti e in testa aveva un cappello molle di campagna a tese larghe. Mantello e cappello erano pieni di neve.

— Finalmente! — ripetè il portinaio, levandosi col dolore d’uno che si schiodi da un’assa. — Credevo che non venisse più stasera.

— Fa del fuoco, fa del fuoco — brontolò stizzito il padrone.

— Vado fuori a pigliare qualche fascinetta... — Il Berretta accese l’altra candela che stava sul camino e uscì, mentre il signor Tognino, scrollata la neve dalle spalle e sbattuto il cappello contro la schiena della sedia, buttava la roba sul tavolo e andava a sedersi davanti al caminetto per riattizzare un po’ di fiamma.

Era un uomo di sessantatre anni, con una testa piccola, quadra, intelligente, i capelli non bianchi del tutto, il viso secco e colorito, d’una magrezza solida e risoluta, che tradiva dai lineamenti sciupati