Pagina:Arabella.djvu/23

Da Wikisource.

— 17 —


Tognino non stentò a trovare capi d’accusa, si fece autorizzare e a poco per volta tolse di mano al Baruffa tutta l’amministrazione; non solo, ma gli fece capire che sarebbe stato utile alla sua fama e alla sua dignità di non opporsi alla volontà dei parenti: lo mise, insomma, delicatamente alla porta.

Poi, suscitando le speranze dei Maccagno e dei Ratta, dimostrando alla vecchia cugina che frati e preti minacciavano di mangiarla viva, ridestando in lei degli scrupoli per riguardo ai parenti più bisognosi, ch’era ingiustizia abbandonare, riuscì ad avere in mano una procura legale, che l’abile affarista adoperò come una solida spada. Fece ai preti, a don Giosuè, a don Felice, un’aria poco respirabile; mandò via una certa Santina, una bigotta messa in casa a far la spia, e prese al servizio una certa Giuditta di piena sua fiducia. Aprì la porta ai parenti più miserabili, ch’egli presentò alla decrepita cugina con parole affettuose, ottenendo da lei oggi un sussidio per una povera donna partoriente, domani una limosina per un infermo, o dei prestiti o dei riscatti di pegno, guadagnando la simpatia e la popolarità di tutti i Ratta più rosicchiati dalla miseria. Quando il figlio d’un Giacomino Ratta celebrò la prima messa nell’oratorio degli Angeli, Tognino volle assistere come padrino a nome della vecchia benefattrice, quantunque da cinquant’anni non vedesse più un Cristo in croce; e seppe tanto fare che passò per un mezzo santo.

Tre volte la settimana menava in casa Aquilino Ratta, uno dei veterani del quarantotto, e ora vice-ricevitore in un banco del regio lotto, uomo pieno di rispetto, e lasciava che il buon parente divertisse

E. De Marchi - Arabella. 2