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fatta dare a sue spese a San Barnaba, Ferruccio cominciò subito a migliorare: perciò il cuore della zia aveva qualche ragione d’essere più contento e di sperare.

— Chi è venuto? — chiese sottovoce alla Colomba.

— È la sora Arabella, ma non disturbarla: va in letto a riposare, che resto io.

— Ha aperto due volte gli occhi.

— Ha cercato da bere?

— Gli ho dato due cucchiai di acqua e zucchero.

Il vento e l’acqua infuriavano sui tetti.

— Par la fine del mondo — mormorò la zia Colomba.



Arabella, cogli occhi fissi alla lingua di fuoco che serpeggiava nel vano nero del caminetto, si abbandonò col pensiero e si lasciò assorbire nella sua stanchezza dai bagliori della fiamma.

Si dimenticò, pesando col corpo sulla povera scranna di paglia, come chi sta per addormentarsi dopo un lungo e faticoso cammino. Anima e corpo sospiravano un minuto di riposo, dopo la gran corsa attraverso alle strade e alle persecuzioni umane.

Il volto, fatto più acceso dall’affanno e dai riverberi del fuoco, splendeva d’una bellezza più asciutta e più vigorosa, in cui gli occhi neri, forti e risoluti, mandavano dei lampi insoliti. Il piccolo berretto o tocco di astrakan, che le copriva a stento la cornice dei capelli, dava alla fuggitiva un carattere ardito di viaggiatrice, un’aria straniera al suo carattere, un non so che di avventuroso, che sarebbe molto dispiaciuto alle buone madri canossiane.