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Pagina:Arabella.djvu/383

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VIII.


La vita è una trappola


Don Giosuè stava cenando tutto solo in canonica con un boccone di merluzzo e un’unghia di formaggio, quando entrarono a dirgli che il signor Tognino era in punto di morte e desiderava parlargli.

— Parlare a me? in punto di morte? il sor Tognino?

Non volle credere, finchè non gli fu mostrato un biglietto d’Arabella, figlia di parenti che egli non aveva mai voluto riconoscere, ma della quale il prevosto gli diceva un mondo di bene.

Lasciò il merluzzo, prese cappa e cappello e uscì dietro all’uomo del biglietto, mentre già incominciava a imbrunire.

Strada facendo, sentì che trattavasi di un mezzo colpo apoplettico.

«Anche lui! ma non aveva fatto un patto col diavolo?»

— La vita è una trappola — finì col conchiudere, riassumendo in un’immagine chiara e succinta tutta l’essenza antropologica della poca filosofia imparata in Seminario. — Dio non paga il sabato, ma il sor Tognino non aveva visto nemmeno il lunedì, se questo avviso non era uno scherzo. La roba rubata