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Pagina:Arabella.djvu/384

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gli era rimasta lì, al pomo di Adamo. E se si doveva credere che aveva desiderato di vedere un prete, e tra i preti proprio lui, don Giosuè, anche questo poteva essere un segno di resipiscenza, effetto del dito di Dio, di quel tal dito lungo che arriva dappertutto...

Giunto in via Torino, fu accompagnato di sopra, dove si trovò in mezzo ai parenti raccolti in una stanza semibuia, in un sommesso complotto. C’erano i Borrola, c’era il notaio Baltresca, c’erano delle signore, molta gente nell’ombra, su per le scale, in anticamera.

Il malato era stato per il momento collocato nel letto degli sposi, perchè il caso grave non permetteva di trasportarlo nelle sue stanze. A nome dei parenti l’impresario cav. Borrola tirò in disparte il prete e gli fece capire che bisognava far fare al moribondo qualche dichiarazione: e per questo i parenti desideravano che il malato fosse assistito da un sacerdote di confidenza che sapesse le cose: e stava per dire il mestiere. Ma il momento era troppo solenne perchè il libero pensatore cav. Mauro Borrola osasse fare dell’intransigenza. Quando è in giuoco quasi un mezzo milione, c’è posto per la bottega di tutti.

Il povero signor Tognino giaceva nel letto degli sposi (chi gliel’avrebbe detto?) col capo fasciato di ghiaccio, colla testa rossa e congestionata, colla pelle del viso tesa e lucida, l’occhio spento, il respiro corto e pesante, il muso sporgente in una espressione di dispetto.

Il canonico, abituato a strologare sui malati, capì subito che il brav’uomo aveva bell’e goduta la sua