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la fine di cagliostro 151

ancora dieci anni fa e si compiaceva di raccontare alcuni aneddoti sul prigioniero, raccolti dalla bocca del padre. Ricordo di avere inteso da lui che Cagliostro fu una volta punito severamente per aver dipinto sul muro della sua cella, con colori occultamente preparati, un quadro rappresentante la chiesa di S, Pietro in Vaticano portata via da una turba di diavoli. Un’altra volta riusci a travestirsi con gli abiti di un cappuccino, che gli avevan messo d’intorno perchè ne tentasse la conversione; e procurò, così travestito, di guadagnar l’estrema porta del castello, quando, quasi prossimo ad evadere, fu riconosciuto da uno dei suoi custodi e ricondotto nella cella, dove si dibatteva ancora il povero frate, imbavagliato e seminudo».

Il comm. Alessandro Ademollo nell’interessante suo scritto: Cagliostro e i Liberi Muratori, dopo aver riportato il brano del Diario del Cracas con cui se ne annunzia la morte, conclude: «Così sparì dal mondo un uomo, che aveva fatto parlare di sè per tanto tempo tutta l’Europa. La morte di lui passò quasi inosservata: il mondo politico e la Massoneria non se ne fecero nè in qua, nè in là. Avevano in quel torno da pensare a ben altro». Ed è vero, ma soltanto per allora. Di lì a pochi anni anche alla memoria di Cagliostro non mancò l’apoteosi. Eccone la curiosa descrizione che me ne fa il sig. G. De Luca nella sua lettera: «Quando le truppe del Primo Console presero per fame il castello di S. Leo, dopo due anni di assedio, non privo di gloria per le armi italiane, molti officiali francesi, affigliati alla Massoneria, disseppellirono gli avanzi del Conte di Cagliostro e li onorarono con riti massonici. Un vecchio di novant’anni si ricordava, dieci anni or sono, di quei tempi e di quegli avvenimenti, e, fra l’altro, d’un’agape fraterna, durante la quale gli ufficiali massoni bevvero, dopo varie cerimonie, uno dopo l’altro, nel teschio del famoso maestro».

Massa, 4 febbraio 1891.