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dell’anno 1377 7

di Ginevra nel 1377, cioè quando gia da quattro anni il Petrarca era tornato alla gran madre antica1! Perciò anche il signor Cesare Cantù ebbe ragioni da vendere, quando, nel Tomo X della sua Storia Universale, sentenziò seccamente che questa Commedia sull’espugnazione di Cesena, a torto volle attribuirsi al Petrarca.

Ma io nè credo pure autore di questa operetta il Salutati, del quale è certamente la bellissima lettera scritta a nome della Repubblica fiorentina ai Potentati d’Europa, con quella penna che Gian Galeazzo Visconti a buon dritto diceva di temere più delle spade di ventimila fiorentini. Tanto nella Lettera quanto nella Commedia vengono narrate le stesse immanità, ma ne sono sì diverse tutte le espressioni, che non e credibile che ne sia identico l’autore: ed oltre di ciò, se lo stile della lettera non può dirsi purgato e colto (pregi che sarebbe indiscretezza pretendere negli scrittori di quel secolo di ferro), pure non solecizza e non barbarizza, come a ogni linea la squacquerata sintassi della Commedia. Sia peraltro di chi si voglia, io, secondo che ebbi da Lei in commissione, e per liberare la mia parola, gliela mando, perchè, nonostante la sua doppia pseudonimia, non cessa di essere tuttora inedita, e di avere dal principio al fine la qualità di genuina istoria, come dimostrano le concordanze degli scrittori sincroni che vi ho aggiunto, ai quali ho voluto framischiare le autorità di Sant’Antonino e del Poggio, che sebbene posteriori, ebbero nondimeno tutto l’agio di vagliare e di affinare la verità delle diverse narrazioni che andavano attorno, attin-

  1. Altra prova, che questi insigni nostri precettori molte volte non lessero, o non seppero leggere, le opere di cui giudicarono, ci viene somministrata dallo stesso Petrarca, nella lunga questione che nacque fra il De Sade e il Tiraboschi, sostenendo il primo che il Petrarca scrivesse il suo Trattato De otio Religiosorum nel 1347, ed il secondo nel 1363. Il Tiraboschi nella Prefazione al Tomo V della sua Storia si dette per vinto; e così la vittoria rimase dalla parte del De Sade, finchè il Baldelli, assisosi arbitro in mezzo alle loro ombre, riprese in mano la questione, giudicandola invece a favore del Tiraboschi; ma per ragioni sì frivole, che se il discendente della bella Avignonese fosse stato tuttavia tra i vivi, sarebbesi contentato per tutta risposta di fargli un manichetto. Niuno dei tre adunque lesse, o osservò leggendo, che nel principio del secondo libro si accenna, che, quando l’autore scriveva quest’opera, Clemente VI era già andato a trovare Clemente V: e Clemente VI moriva ai 2 di dicembre del 1352. Che se la parte più perfetta della storia letteraria italiana del Tiraboschi, per conforme sentenza del conte Giovio e di Foscolo (Opere di quest’ultimo dell’ediz. di Le Monnier, tomo II, pag. 48), è quella che riguarda il Petrarca, il quale egli, nell’Appendice alla sua opera, dichiara essere il suo eroe e direi quasi il suo idolo, quanto meno diligente e meno sicuro non è a temersi che sia stato, scrivendo della vita e delle opere di altri autori, che non ebbero questa sua particolare affezione?