Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/449

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rassegna bibliografica 155

«simamente degli architetti, essere utile conoscere la scrittura, i quali solevano tra le linee de’ loro disegni scriverne la dichiarazione: così molti anonimi si verranno a svelare, e di non poche opere sapremo l’autor vero».

Innanzi di por fine a questa già forse troppo lunga rassegna, mi piace far menzione anche d’un altro autografo singolare, ed è di un architetto contemporaneo ed emulo del Brunellesco, e, alla pari del Manetti, dantista, anzi spositore del Poema nello Studio di Firenze: Giovanni di Gherardo da Prato, l’autore del Paradiso degli Alberti, pubblicato recentemente con molta dottrina e diligenza dal prof. Wesselofski. «Egli avea fatto parecchi disegni per la Cupola e per la catena: ma Brunellesco vinse tutti coll’ingegno, se non riuscì che troppo tardi a vincer l’invidia che gli avea posto accanto molti emuli. Di questi fu Giovanni di Gherardo: il quale non pare si desse per vinto neppure quando la Cupola, con sicura arditezza, era cominciata a voltare. Ne abbiamo la prova in una cartapecora, venuta da pochi anni all’Archivio di Stato; sulla quale, a linee e a parole, si sforzò di mostrare (e fu circa al 1426), che l’edifizio verrebbe con due mancamenti: l’esser cieco, ed aver poca stabilità. E se il primo è difetto, messer Giovanni non ebbe torto; ma dell’altro gli rispondono i secoli». Così il mio Cesare Guasti; poichè per la notizia di questo pratese il Milanesi cedeva la penna all’amico, illustratore della Cupola di Santa Maria del Fiore. Il quale, proponendo al Pini la fotografia della ricordata cartapecora per la parte dimostrativa del disegno, aggiungeva nella sua Notizia, e sono curiosità anche letterarie, due sonetti passati tra Giovanni e Filippo duranti quelle gare infelici.

Conchiudendo, alla impresa del signor Pini, malagevole, com’è facile immaginare, a condursi per così lungo cammino (dovranno essere trecento autografi, in dodici dispense, di venticinque tavole ciascuna e del prezzo di lire venti ); a questa impresa nella quale la curiosità, spesso compagna indifferente di cose frivole od anche spregevoli, è fatta servire a fini utili e degni; io non saprei con quali parole benaugurare nè più convenienti nè più autorevoli, di queste che ne scriveva, non è molto, il Tommaseo: «Le gallerie