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198 società colombaria fiorentina

seminata di occhi umani, e queste parole intorno al centro: ego ego hermes.

Un inventario del nostro piccolo museo, fatto un mezzo secolo addietro, lo dà per un «bellissimo talismano di bronzo, intagliato all’oggetto di levarne impronta». Il Migliarini lo credette un «oroscopo»: altri, se ne levarono col chiamarlo un «gran medaglione». Alla Colombaria fu presentato cento e più anni fa, ma in calco di carta; e se ne registrò una storia piuttosto lunga, dov’è chiamato «medaglia magna», «scudo ermetico», «gioia la più preziosa dell’universo». Dice, che fu della galleria d’un gran sovrano; che un forestiero, al solito, tentò il custode coll’offerta di «mille zecchini effettivi», perchè la riconobbe «una preziosità unica al mondo», che «aveva virtù immense, e buone a ogni operazione contro qualunque disastro potesse mai avvenire a chi si sia». Come la cosa s’andasse, o che il cerbero di quella galleria pigliasse il boccone, o che l’anonimo sovrano volesse ricompensare qualche segnalato servigio; il bronzo passò dalla galleria in un postero di quel Dante da Castiglione che mantenne, duellando con un traditore della patria, l’onore di Firenze assediata. Del postero, già rappaciato co’ Medici e Marchese, non si dice il nome, ma perchè fra’ primi ministri di Cosimo III fu Vieri da Castiglione, non potrebb’essere che il prezioso disco passasse dalla guardaroba del Serenissimo nelle mani di questo signore, che bazzicava volentieri i letterati e gli artisti? Certo è che in casa da Castiglione si teneva come una maraviglia: e si sa che il pittore Cignani rimase a bocca aperta per lo squisito lavoro; che il Pertussi gesuita consigliò a tenerlo sotto chiave come cosa di contrabbando; che due inquisitori ne accettarono volentieri un’impronta. Chi lo donasse poi alla Colombaria non si sa.

Ora voi sapete che il nostro socio Conservatore ha preso ad illustrare questo singolare cimelio; e in tre lezioni ce l’ha minutamente descritto, eruditamente chiosato1. Quando ne avrà compiuta la pazientissima analisi, qualcosa ne potremo conchiudere: ma fin d’ora par manifesto, ch’egli è uno strumento di quella falsa scienza a cui non solo nel medio evo s’inchinarono gl’ingegni, ma durò tino a tanto che il Galileo non n’ebbe spazzato le scuole. Nè questo disco risale a più di trecent’anni, fatta ragione dell’artificio e dei caratteri: si direbbe lavoro toscano; e verrebbe fin voglia di ricercare se non sia un pezzo di quella macchina astrologica, intorno alla quale scienziati e artisti s’affaticarono, regnante Cosimo I, da tenersi in Laurenziana per comodo degli studiosi. Alcuni documenti

  1. Tornate de’25 d’aprile, 29 d’agosto e 19 dicembre 1869.