Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu/148

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144 prima poscritta alle osservazioni

«la sincerità sono materiali, diretti ed estrinseci, cioè la perizia paleografica, coll’esame dei caratteri, della scrittura, della membrana, dell’inchiostro ec.» (pag. 4). In porre le norme di tale giudizio il Jaffé asserisce, che come ogni lettera dell’alfabeto, così ogni abbreviatura aveva la propria significazione. Il Liverani consente, che io diversi codici di diversi secoli da distinti cifristi ed abbreviatori si usavano bensì diverse cifre; ma soggiunge: «quel che non fu mai e non può essere, e pure incontra nelle carte di Arborea, si e di cambiare la chiave della cifra nello stesso codice e nella stessa pagina, scritta dalla stessa mano. Non è un cifrista, ma un giuntatore, chi si diporta io questa guisa» (pag. 7). Gli esempii da noi addotti (Osservazioni, §§ 10, 11, 17,20) dimostrano, che non solo nello stesso codice, e nella stessa pagina, ma nella stessa linea e nella stessa parola, in codici senza dubio autentici, ed anche estranei alla Sardegna, si trova cambiata quella, che il Liverani chiama chiave della cifra. Un dotto italiano, che ò a capo di uno dei più ricchi nostri archivii, avendo studiata sui documenti la presente questione, che si propone d’illustrare in apposito scritto, mi assicura, che non solo le carte private del suo archivio, ma gì’ istessi diplomi imperiali, che pure si devono supporre scritti colla massima regolarità e dai più periti calligrali, danno un’intera smentita ai canoni paleografici del Jaffé. - Un altro insigne publicatore ed illustratore di antichi documenti mi scrive: «Mi pare che quei signori dell’Academia di Berlino siano fuor di strada. Ne’ giorni passati ebbi fra le mani degli atti notarili del secolo X, originali, autentici, senz’ombra di sospetto. Essi distruggono da capo a fondo tutte le asserzioni del signor Jaffé sulle abbreviature». - Ed un altro, al quale di molte belle publicazioni da antichi manoscritti va debitrice l’Italia: ". .. Le giuro sul mio onore, che se le teorie messe in campo dal Jaffé mi fossero stato riferite, e non le avessi lette io stesso con questi occhi, non avrei craduto possibile che fossero uscite dalla sua bocca... Non passa giorno, che non mi cada sott’occhio un empio da contraporre alle dottrine paleografiche del Jaffé; le quali, posto che fossero vere, renderebbero anche molto più agevole che non è la lettura degli antichi manoscritti. Ma come va, che se talvolta m’è accaduto di non saper decifrare qualche parola di un documento, non seppero leggerla nemmeno i professori in paleografia? E potrei citare anche un esempio di cotal fatto accaduto al Jaffé quando venne qua due tre anni sono.... Mi guardi il cielo da non professare la debita riverenza a uomini che tutto il mondo onora; ma più che agli uomini, comunque si chiamino, porto rispetto alla verità».