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396 la gallia togata

Un popolo guasto che venga in dominio altrui, precipita sempre più basso; ma i Cisalpini erano immaturi, non fracidi, e di barbari venivano tratti a civiltà; mentre la semplice ruvidezza li difendeva dalla invadente putredine; e la morale servitù, che infine è la vera, nessuna forza la impone ad animi liberi. Che quei Cisalpini andassero immuni dalle corruttele che precipitarono la virtù romana, lo chiarisce la cena data in Milano da Valerio Leone, uno de’ maggiorenti della città, a Giulio Cesare e al seguito di lui; della quale gli schifiltosi cavalieri e patrizi si fecero beffe, e non volevano toccarne, tanto era da meno della cucina romana; così che dovette il gran Capitano dar loro una lezione di urbanità1. Se dunque serbavano tale semplicità di vita, mentre già da più di un secolo erano in relazione con Roma, non saremo detti parziali giudicando che dalla civiltà comunicata, solo traessero quanto era salutevole e decoroso: infatti udremo fra poco Cicerone tributar loro in senato lodi magnifiche di fortezza e di gravità.

Durò lo stato di provincia nella Gallia togata fin che resse la libertà di Roma; tuttavolta le veniva fatto men grave il giogo, mano mano che ella si ordinava e andava dirozzandosi; e le sue principali città furono per tempo dotate delle prerogative municipali; vale a dire sciolte in gran parte dal sindacato della metropoli, per così avviare gradatamente tutta la contrada ad entrare nel romano sodalizio.

Fu detto che Caio Gracco (all’incirca un secolo prima di Cristo) stimasse utile, per rinvigorire la Repubblica, lo estendere i diritti della cittadinanza romana a tutti i popoli della penisola, fino alle Alpi2; altri però, e sembra con maggior fondamento, asserì ch’egli consigliasse di darla ai soli Latini, il cui diritto, quantunque

  1. Plutarco, Vita di Cesare.
  2. Velleio Patercolo.