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della poesia di virgilio | 501 |
alle tenebre della vita; e come la religione del talamo e la religione del sepolcro facessero tutt’una fede nel suo pensiero. Il suo eroe ha titolo di pio e di padre, come Achille quel di Pelide e di piè veloce: pio agli Dei, al padre, alla patria, agli afflitti, ai nemici. E sul prode Lauso, al vederlo impallidire di morte, e’ s’intenerisce e gli tende la destra, e l’immagine del suo proprio figliuolo gli stringe l’anima di compassione; e vorrebbe con la sua pietà rendergli onore degno d’indole così generosa; e gli lascia le sue armi, e gli concede il riposo del patrio sepolcro, si qua est ea cura1; come alla propria nutrice Gaeta, innalza sepolcro che ne perpetuasse tra le genti d’Italia la fama, si qua est ea gloria2, parole che mestissimamente suonano disinganno di tutte le mortali onoranze.
Mezenzio ferito supplica al vincitore per si qua est victis venia hostibus, oro, Corpus humo patiare tegi, e gli conceda avere col figlio il consorzio del sepolcro3: Turno, ferito, supplica al vincitore, miseri te si qua parentis Tangere cura poteste oro, abbia compassione alla vecchiezza di Dauno, e gli renda o corpus spoliatum lumine, o lui vivo e già spento a ogni consolazione4. E già il vincitore s’impietosisce e rimane esitante; allorchè gli balenano allo sguardo le borchie della tracolla che Turno trasse trofeo dall’ucciso giovanetto Pallante; e il moto d’una pietà più intima, e il debito della gratitudine e dell’amicizia, lo spinge, pensando la desolazione d’Evandro, a accuorare con la morte del figlio prode la vecchiezza di Dauno. Turno scongiurava Enea per la memoria del suo padre stesso, fuit et tibi talis Anchises genitor; e queste parole fanno più sentir la bellezza di quelle che dice, commemorando il suo Astianatte, l’infelicissima madre, abbracciando Ascanio, e porgendogli le memorie ultime di dolore e d’amore: così gli occhi, così le mani, aveva egli il viso così5. E qui pure, come nella recata preghiera di Turno, un dì quegli scorci di lingua