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380 il p. vincenzo marchese

sentita eloquenza, specialmente se parla del Savonarola. Però è da notare che non sono infrequenti certe affettazioni classicheggianti del vocabolo e della frase, che fanno un po’ pesante lo stile e gli tolgono spontaneità e naturalezza. Era un difetto assai comune dei buoni scrittori di quaranta o cinquant’anni fa; ma era un difetto che nasceva dallo studiar troppo: meglio questo, di altri, forse non minori, che provengono dallo studiar troppo poco.

Il carattere e l’anima del Marchese, sono dipinti nei suoi scritti; e chi li ha lotti, gli vuol bene quanto chi lo ha conosciuto. Fu innamorato dell’Angelico e del Savonarola: dell’uno ebbe la dolcezza, dell’altro gli entusiasmi e l’ardore. Tre alti affetti (sono sue parole) lo ispirarono e lo consolarono sempre; cioè, la religione, la patria, le arti. Osservò la religione colla fede sincera e la vita intemerata; servi la patria e la onorò scrivendo in tempi servili parole di libertà; e illustrò le arti con volumi eruditi e geniali, che resteranno.

Maggio 1891.

Ermenegildo Pistelli.