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Polemiche 151

ai loro delitti; i sapienti stessi dell’antichità ne sentirono la importanza».

Tutto lo sfoggio di erudizione che l’Ardigò ha fatto nella sua polemica, è dunque rivolto alla difesa di una istituzione ch’egli stesso riconosce con sue parole tutt’altro che orrida, che è quanto dire bellissima.

Ed in un altro luogo:

«Qui non parlerò d’infallibilità nè di papi, nè di concilii; perchè è anche troppo quello che mi tocca di scrìvere della confessione; avverto solo il pubblico che per moltissimi è facile trovare o rendere ridicola questa infallibilità, perchè non sanno che cosa sia, e pensano buonamente i furbi che chi la crede sia disposto ad ammettere vero indubitabilmente tutto ciò che venga in mente ad un papa o ad un concilio di proferire».

E l’uomo che scrive queste cose, l’uomo che non trova e non rende ridicola la infallibilità dei papi perchè la capisce e non l’intende in un senso volgare, ma in un senso vero, elevato e scientifico, è l’uomo che si scandalizza se gli si dica che la infallibilità ha difesa, è l’uomo che oggi grida di averla sempre chiamata un assurdo.

Via, convien dire, che prima di scrivere quella infelicissima lettera a quel buon credenzone del Moto, il prete filosofo avesse bevuta l’acqua di Lete!

Aveva ben ragione quella vecchietta mantovana, che sentendo raccontarsi dal nipote che l’Ardigò dimostrava al Liceo la non esistenza di Dio, scrollava la testa incredula e quasi trasognata borbottando: «Eppure quel Roberto prima di divenire Roberto il diavolo è stato Roberto il santo!».

Mah...! Tempora mutantur et multi mutantur in illis!

(Gazzetta dell’Emilia, 25 luglio 1883).