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XCVI

A MONSIGNOR BEMBO

Lo ringrazia di un sonetto e gli fa premura di venire a Venezia, perchè possa presto incidersi il ritratto di lui. Il tacer mio fin qui ha risposto, signore, a la gentilezza del sonetto vostro, e il nodo, che *1 silenzio mi ha fatto ne la lingua per ciò, viene da la poca vertú, che mi fa parere; onde la sua vista non può mirare il sole di quella per cui séte, e le piume de l’ingegno suo non volano per il cielo de la vostra. Benché il restar muto, ch’io feci leggendolo, commisse tal risposta a l’animo, il quale subito vi scrisse, come ora con la penna del buon volere vi riscrive di propria mano, ringraziandovi de la vita e de lo spirito, che avete dato a la morte de la sua sirena e al mio nome, anullando al tempo le ragioni, che si sicure con noi due gli parse avere. O bontá del Bembo, tu sei pur grande, poiché doni l’immortalitade a chi, senza meritar altro, ti ha solamente nel core ! Io, che, per favor che a quel ch’io mi sia abbin fatto le cortesie dei principi di tutto il mondo, non mai divenni altèro, mercé dei vostri versi provo come sa gonfiar la superbia. Veramente l’armonia, che esce dai vanti che danno i vantati, a chi pregia il vanto è cibo de l’anima, la cui soavitá è gustata dai sensi, nonché dai rettori de la vita, su le spalle de la quale si sconciamente si aggrava il piombo di quegli anni, che si onorarebbero a vergognarsi di non avervi sempre conservato in uno stato, se ben la propria gloria è l’aprile, che eternamente mostrará verdi e fioriti i giorni del vostro essere. Ma, perché l’effigie, con cui onorate il mondo e la natura, sia ognor la medesima, come tuttavia sará una istessa la fama che avete, consentite, con il presto venir qui, che se le cominci e fornisca la stampa, dove apparirete vero e vivo; e ciò fate, perché quei che nasceranno s’innamorino de l’imagine di colui, che gli terrá in continuo stupore con gli essempi de P. Aretino, lettere -1. 8