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CVI

AL CARDINAL CARACCIOLO

Si difende dall’accusa di avere scritta al conte Guido Rangone una lunga lettera contro Carlo V e Antonio da Leyva. La giustizia, monsignore, che non vòle esser tenuta ingiusta, concede a ogni malfattore il poter scusarsi de l’accuse date sopra il capo suo, né saria sentenziato da lei, se prima non si ricontrassero le sceleratezze, che egli confessa; e ciò osservano i podestá e i bargelli in ciascuna birraria. Ma la mia innoccnzia dai maggior personaggi nei piú degni luoghi è condannata inanzi ch’io sappia di che cosa sono incolpato. E di questo fa fede il volume, e non lettera, che altri vòle ch’io, in pregiudizio di quel Cesare, al quale non si pò scemare né crescer laude, abbia scritto a l’illustrissimo conte Guido Rangone. E, perché l’autor di cotal ribaldaria ha tentato di colorire il viso de la sua bugia con il pennello dei miei veri, senza altrimenti certificarsene, s’è mandata a don Lope, rimproverandogli gli uffici fatti da la Sua Mercé in mio beneficio, come non fusse onesto che uno che predica con la lingua del core gli onori di Sua Maestade si aiutasse. Padron mio, se la calunnia non trovasse (’orecchie dei principi aperte a le sue esclamazioni finte, la sospezzione e l’ignoranza, che la seguitano, non gli farebbon credere quello che non è e non può essere. Io ne son risoluto, ché almeno il Cardinal Caracciolo, dotto ne la lunga esperienza, averia conosciuto l’invidia, apportatrice del libello, se la Iraude e l’insidia non l’avesser tenuto abbada, mentre ha letto i veleni di colui, che tosto provará da la mano de la veritá il flagello de la penitenza. Benché mi ha piú offeso la credenza, che gli dá il poco giudizio d’altri, che il suo scoppiare del bene concessomi da la bontade augusta. Un Fagnano mi ha riferito che, se bene escano per Milano molte ciancc con il mio titolo, sono conosciute nei vocaboli quasi da tutti