Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/136

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per non mie; onde la plebe sa meglio giudicare che i senatori, lo, quando fulmino questo e quello, faccio per farlo, e non perché doppo il fatto l’umiltá del pentimento mi assolva da l’indegnazione e dal pericolo. La natura mi diede i previlegi del dire ampi e liberi, nc son per imbastardirgli mai; e i cieli, che mi fecer tale, mi assicurano da lo spavento degli uomini. Ma torniamo al conte, il qual non è si lontan dal mondo, che non ci potiam chiarire. Se egli affermasse l’avergli io scritto quello che Cristo non pò far ch’io gli abbia scritto, ma pò ben farlo credere, chi ha portato la carta? chi l’ha scritta? di donde è uscita? e dove è ella? Dicendo di no, voi séte sodisfatto. Io parlo a voi, perché precedete costi a ognuno, non perché io pensi che voi stimiate ch’io sia il reo. Quetatevi pure in cotal caso, perché Sua Signoria è persona che non accetterebbe vitupèri composti in si villana maniera, né di mio si vidde mai lettera che passasse un foglio. Ma lasciamo andar questo. Se le monete ben falsificate e i diamanti ben contrafatti sono scoperti dai zecchieri e dai gioiellieri, chi dubita che da chi sa non si comprenda se il maligno séguita ne l’imitazione il sale dei miei tratti o no? E, per dirvi, il conte avisò la sua consorte come in Carmigliola era uno che aveva infamato il Fregoso a nome mio; e il testimonio di ciò è una poliza di mano de la contessa a l’imbasciador Soria. E domandatene il signor Luigi Gonzaga, che, intendendolo, mi scrive: «lo non credo che abbiate usato i tali termini inverso il mio cognato; e poi è impossibile, nonché difficile, il poter imitarvi». Ecco che la prudenza del suo accurato avedimento non fumò con le collere inverso di me, che non cedo ne la qualitá mia di gratitudine a niuno; e, se la gloria del gran Carlo potesse esser maggiore, io sarei atto a ringrandirgnela. Verran meno le stelle, ma non la devozion ch’io ho nei meriti del divino imperadore. E la memoria del sempiterno Antonio da Leva ha talmente radice nel mio core, che spero in Dio che non morrò senza pagar ciocché le debbo. Leggasi quel ch’io scrissi a tutti due in Sivigliano, e poi si favelli. Leggasi il ringraziar Sua Maestá de la pensione, e vedrassi in che grado io tengo gli onor di quella.