Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/171

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CX XX VII AL SIGNOR GIAMBATTISTA CASTALDO Lo prega di restituire alla signora Flaminia De Amici il figliuolo. La signora Flaminia, cortese cavaliero, m’ha da Roma fatto il secondo presente, gentile come il primo; e chi accetta l’altrui ad altri si obliga, e i doni sono gli imbasciadori di quegli che sperano per il lor mezzo gratificare i desidèri. La somma di quel ch’io vo’ dire è l’avermi ella, che sa per fama quanto io vi sia a core, eletto a trarvi de le mani il figliuol suo; onde mi perdonarete, se io, che non so la cagione del suo starvi apresso, temerariamente per lui intercedessi, perché non è giusto chi agli amici chiede cose ingiuste. Ben so io che la ragion vorebbe, sendo voi raro in ciascuna sorte di costumi e di vertú, ch’io mettessi ogni autoritá in farvelo tenere e non in farvelo rendere, perché egli può farsi tanto grande con voi quanto piccol con lei. Pure io, che mi rintenerisco tutto agli scongiuri de le madri e al suono che proferisce il lor nome, perché vivono c moiono con la vita e con la morte dei figliuoli e si dilungano da l’anima quando essi gli stan lontani, vi supplico che, con quello che in ciò fareste per qualunche ve ne richiedesse, risolviate me, che per ciò son pregato da molti, che ho di grazia che mi comandino. La povera madonna vorebbe con il freno del matrimonio frenare la licenza de l’onestá, che ormai non si compiace piú ne le delizie del mondo; e parmi che il non averlo apresso le ne vieti. Ma, se le voci, che forma Paffetto de l’animo, penetrano ne le orecchie di Dio, consentite che anche le mie, formate con l’alTezzione istessa, pervengano ne le vostre; onde coloro, che mi astringono, confessino l’uTficio ch’io ho fatto per consolarla.

Di Venezia, il 2 di giugno 1537. P. ÀkhTiNc, Lettere • i. 1 I