Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/170

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altri gli fa, onde diventa monarca de la pazienza. Caso che costei, che tu vanti per bella, sia bella, tu ti assicuri a un gran pericolo; s’è brutta, tu ti vuoi fare schiavo de la penitenza. E quanto piú lodi le sue assai vertú, tanto piú biasimi il tuo poco giudizio, perché i suoni, i canti e le lettre, che sanno le Temine, sono le chiavi che aprono le porte de la pudicizia loro. Non danno il matrimonio necessario e santo, perché i suoi beni sono la prole, il sacramento e la fede; ma tu fai ingiuria al reverendo nome di padre, volendolo usurpare essendo ancora irreverendo figliuolo. E il peggio è la commoditá, che tu a lei ed ella a te non può dare: per la qual cosa il tuo letto libero saria e servo de le liti e spedale de le querele. Si che mostra in ciò d’esser vecchio, se non vuoi parer sempre giovane; e lascia il peso de la moglie a le spalle d’Atlante. Lascia i lor lamenti a le orecchie dei mercatanti; lascia i lor ghiribizzi e a chi sa bastonarle e a chi può comportarle. Adenti ai rami de l’onore, a cui s’impicca chi per loro si disonora. Esci ed entra in casa tua, senza dire «a chi la lascio e con chi la trovo», né d far pasto dai tuoi denti la gelosia. Comparisci ne le chiese e ne le piazze privo del timore di quel bisbiglio, che mormora dietro ai mariti di qualunche donna si sia. E, se pur brami la successione, acquistala con le donne altrui; e, se la conscienza de l’adulterio ti rimorde, fa’ quel ben piú, e legittima i figliuoli con la tua bontá e con le lor vertú, perché ciascun vertuoso e ciascun buono nobilita il natal suo, facendo scordare al vulgo l’infamia materna. E, quando sia che la continenza regga i tuoi desidèri, laudo cotal prudenza, e d conforto a la poesia, a cui sei obligato, per averti dato nome inanzi che tu fussi atto a esser conosciuto. Innamorati di lei e abbraccia lei: se non, la fama tua, che comincia a spuntar fuora l’ali, sará tradita da te, che non ti vergogni pure a pensare di lasciar la gloria perpetua per la lascivia d’una cosa che dura un di ne la vaghezza sua.

Di Venezia, il primo di giugno 1537.