Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/176

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perfetto essempio di quanto può fare e imaginarsi l’architettura E mi credo che, per essere giá sacro a tutti i dèi, che il modello di tal fabrica fusse magistero di Dio. Ecco ivi una smisurata semplicitá nel suo difficilissimo componimento; lá non è intrigo che impacci l’ordine de la machina; tutti gli ornamenti son posti ai luoghi; ogni parte è pura e candida; e un lume solo, che piomba dal mezzo de la sommitá, venerabilmente rischiara il tempio, dove niente di piú né di meno ce si desidera. Cosi è fatto il vostro lavoro. Gli interlocutori, le lor dispute, le figure, i concetti, le comparazioni, le sentenze, le arguzie e i colori non escono punto del dovere. E chi dubita che il Molza, locato nel mezzo del ragionamento, quasi anima sua, non sia il lume venerabile, che ravviva gli intelletti e l’intelligenze di chi propone e di chi espone i subietti mirabili, da voi tessuti con artificio inusitato? Insomma egli è si ben raccolto e in ciascun lato è si bene intero, che par proprio la Ritonda; e il Tasso, il Valerio, il Capello, il Molino, il Grazia e il Broccardo son le smisurate colonne sue. E, perché si dice che le statue, che ci dedicò Agrippa, con il voltarsi indietro accusavano le province ribellatesi al senato, affermo tali miracoli con il miracolo che ha fatto il vostro dialogo. Egli ha tirato su per le mie scale la Magnificenza del caro messer Domenico Gritti, le cui ossa sono occupate da tanta carne, che fanno un peso che noi moverebbe Orfeo con l’aiuto del suono di mille cetere, benché la grassezza è il prò che fa la natura a la vita. Or, per uscir di scherzi, la Tullia ha guadagnato un tesoro, che per sempre spenderlo mai non iscemará, e l’impudicizia sua, per si fatto onore, può meritamente essere invidiata e da le piú pudiche e da le piú fortunate. E ai grandi uomini predetti bastava la gloria de le carte loro: perciò dovevano lasciare quella che gli agiungon le vostre a chi ne ha bisogno, come ho io, che pur mi pare valer qualche cosa, poiché son mentovato da le parole dei vostri studi. E non son tanti inganni fra la natura e l’arte quante grazie ve ne rendo, percioché tal memoria dará il fiato al mio grido roco.

Di Venezia, il 6 di giugno 1537.