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CLXXXIV

A FRATE VITRUVIO DEI ROSSI

Ringrazia del dono di tartufi, ostriche e frutti, pur non essendo goloso, e amando sopra tutto una buona insalata con una cipolla. Se i principi, padre, che ci comandano d’essere di sprone a le lor promesse, onde corrcssono come corrono le vostre, che bel vivere e che bella etá saria la nostra! Il sagrestano di San Salvatore, molto gentile e molto cortese, m’ha dati i boleti che m’avete mandati costi da Travigi, dei quali ho goduto per amor de la Vostra Riverenza, da me tanto osservata ne la religione, in cui séte ora, quanto da me amata nel secolo, dove fuste giá. E, perché i tartufi, le ostrighe e i frutti non son cibi, ma allettamenti de l’apetito, che sforzano a mangiare fino ai satolli, non vorrei che il piacer, che ho preso mangiandogli, vi facesse credere che io mi dilettassi nel vizio de la gola, onde incappassi ne l’unghia del diavolo a petizione di quattro funghi. Certamente, il mio animo, se’l modo ci fusse, si pasceria de le grandezze reali ; ma la mia bocca, che potria pur trarsi qualche voglia nel gusto, si nudrisce di vivande villane. E, se si pecca in divorarsi tutta una insalata con tutta una cipolla, io sono spacciato, perché ci sento una morbidezza di sapore, che tale non la sentivano i falconi di cucina che si raggiravano intorno alle tavole di Leone. E son per farmene conscienza, quando sia che le leggi chietine vietino le lattughe a quei preti che biasimano l’erbette, e son per beccar sii due altri giubilei per ciò. Benché non credo che simili frascarie vadino a conto de l’anima di chi se ne diletta. Peroché, secondo Poppinion di Nerone, son antipasti degli iddíi, e la sua bona memoria andò in cielo per cotal mezzo; e ciò testimonia ser Claudio, che ne fu piú ghiotto che de l’impero. Come si sia, io ve ne rendo piú grazie che non era il numero loro, e, mentre me ne donarete, lasciarò ogni altro intingolo. E, se qui ci è cosa che vi corra al naso,