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Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/29

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impossibili possino facilmente essere, da che ho pur visto un uomo ciarmato contra si fatto arsenico. E mi par piú gloria la vostra che se foste papa, e, facendo la impresa de la crociata, la vinceste. Ma a che dubitare che in ogni grado Vostra Signoria non fusse tale, sendo voi si giusto, che potreste fare ottima la tristizia, non solo conservarvi ne la vertú? E io me ne rallegro, per essere amico d’una persona intera in tutte le parti.

Di Venezia, il 7 di ottobre 1528.

XII

AL DUCA DI MANTOVA

Lo ringrazia del dono di alcuni oggetti di vestiario. Io non credo che i pensieri di qualunque piú innamorato si trovi, sieno nel moto in che son le mani di Vostra Eccellenza, mercé del piacere nel qual 1* ha poste la gran vertú del donare. Certamente la liberalitá, di chi vi séte fatto anello nel vostro maggior dito, vince il pregio di quante gioie si ornár mai le corone altrui. Io mi vestii il di de l’Ascensione d’una robba di velluto nero, fregiata di cordoni d’oro, con la fodra di tela d’oro, e d’un saio e d’un giubbone di broccato; donando a la gentilissima madonna Cecilia Livriera, mia comare, le calze fatte con l’ago, d’oro e di seta cremisi, che mi mandò a casa messer Gioaniacopo Malatesta, vostro imbasciadore. Né mi son tanto rallegrato del dono per la ricchezza sua, quanto de l’avere voi, che principe séte, giudicatomi degno di portare gli abiti dei principi. Onde il mio animo, che non cede a quel di niun re, sendosi compiaciuto ne la pompa di cotali vestimenti, ha obligato sé a voi solo, con voto di esservi sempre presente. E, perché la faccia de la liberalitá ha per ispecchio il core di coloro a cui si porge, ella potrá tuttavia vagheggiar le sue bellezze nel mio; potrá anco udire le lodi che si danno ai liberali da la mia lingua, che piú tosto tacerebbe la sua ragione che il