Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/360

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Quegli occhi, Re del ciel, che a un guardo pio Palme fan liete e gli angeli contenti, volgi nei miei, quasi gelati e spenti, ch’a la sembianza tua pur son fatto io. Quelle sacrate mani, con cui, Dio, e creasti e partisti gli elementi, porgi ai miei membri languidi e dolenti, o insegna a sofferire al corpo mio. Coi piè, che di Pluton rupper le porte e ch’or premon le stelle, sgombra ornai lunge da me la mia perversa sorte. Ma, s’è’l fin giunto, qual prescritto m’hai, meco le sue ragioni usi la Morte: poi piaccia a te ch’io venga ove tu stai.

CCLXXXVI

A MESSER PAOLO MANUZIO

Ringraziamenti, complimenti e proteste della propria ignoranza. Gentilezza d’animo romano e verni di figliuolo d’Aldo è la lode che il vostro dotto giudizio dona ai miei passatempi, i quali la midolla de l’invenzione fa parer belli in piazza. Io pur troppo mel conosco; ma non saria disaguaglianza fra i saputi e gli ignoranti, se cotali sciocchezze non comparissero in campo. I ricchi si riconoscono dai poveri per la differenza che è dai broccati agli stracci. Né mi maraviglio s’un par vostro talora scolta le stampite de l’altrui chiacchiare; ché anche Francesco Milanese, Alberto da Mantova e il mio messer Marco da l’Aquila si trac piacere di sentire ciaramellare il liuto d’un barbiere, e Tiziano gode, mentre uno schiccaraforzieri ti pianta lá una testa, che, per istar ladramente, non potria star meglio. Or eccomi ai piaceri vostri.

Di Venezia, il 9 di decembre 1537.