Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/365

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1 quali avevano murato il culo sopra due cavalloni, molto mondanamente. Tosto che il poverino gli squadrò, lasciando torcersi il collo dal gesto de l’ipocrisia, impetrò per caritá la groppa d’un di quei baiardi. E, salito nel groppo d’un fossato, mettendosi i lembi de la cappa sotto, ataccatosi al legname, non fu a pena suso, che il demonio lo tenta. Egli, nel trargli i zoccoli di piè, gli pon ne la fantasia la soavitá de Tesser portato; onde comincia a far vista di non volere smontare, nel dirglisi: —Scendete mò. — E, perché le parole e le gombitate lo sollecitavano, rispose: — Cotal bestia è tanto la mia quanto d’altri, poich’io mi son fatto del vostro ordine con la volontá; — né ci fu mai verso di farlo smontare. E, giunto al inonistiero, si vesti de l’abito nero, con dire: — Eccoti il tuo bigio, san Francesco, poich’ancor questi, che son ricchi e che non han forate le mani, vanno in paradiso. — Le son baie a credere, che la natura non si risenta de le ingiurie che le fa il freddo e il caldo. Ella è omicida di se stessa nel rubbar l’acqua a le sue seti e il pane a le sue fami: il gelo e il sudore de le sue membra si dee ristorare col fuoco e ccl vento; altrimenti, si cade lá, né si può tener fiso il core a Dio. Chi può sopportar ciò che non si sopporta, è una «anima mea Dominimi». Ma, doppo cotante ciance, scrivendo voi al dotto, ottimo e reverendo don Onorato Fassitello, luminare maius, ricordativi di raccomandarmi a la sua egregia persona.

Di Venezia, il n di decembre 1537. ccxcn A MESSER AGOSTINO DA MOSTO Invia due sonetti in morte di Ludovico Ariosto. I sonetti, ch’io feci per offerire a la eterna memoria del glorioso Ariosto, non son degni d’uscire in luce: perciò gli teneva ne le tenebre d’un forzieri, non gli squarciando e non gli abrusciando, per non violar con le mani e col fuoco il suo nome reverendo, il qual aveva pur notato ne le carte, ch’io vi mando per