Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/44

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Matteo a poco meno che bastonarlo. Ella trae, nel sentir di voi, alcuni sospiri mariuoli e forma certe parole ladre, dando due occhiatine a chi l’ascolta, che farebbeno risentire 1* < hi princípio»; né se le può cavar del capo che non l’abbiate a far papessa. E l’uomo armato, poeta quae pars est , ogni di le dá lettere amorose da parte vostra; ed ella, gongolando, rompe la testa a tutti i compositori per far risposte penetrative. Si che venite a la comedia; se non, la ninfa sguainará adosso a Vostra Signoria, la qual supplico a star sana, un «non aspetto giamai con tal desio».

Di Venezia, il 21 di luglio 1531.

XXVII

AL MARCHESE DEL VASTO.

generale di Cesare. Lo ringrazia del dono di cento scudi d’oro e di un saio di velluto. Mentre, signore, pensava in qual modo io, che italiano sono, potessi pagarvi la mia parte de l’obligo che Italia tutta ha con l’opere che per giovarle fa la Eccellenza Vostra, ecco Giovanni di Frontada, servitor di Quella, che mi dice: — Questi cento scudi d’oro e questi quaranta in velluto ti dona il mio signore. — Onde i pensieri, che io cercava di scemare nel trovar la via di pagar l’un debito, crebbero nel far de l’altro. Ma, sendo io mal atto a disbrigarmi del primo, non so con che mezzo trarmi de le mani al secondo; e, se la sua cortesia non mi fa un presente de la obligazione, per la qual cosa io non sia tenuto a esservi obligato, mi acquistarò nome di villano. Né ciò saravvi onore, perché chi dá ai villani insalvatichisce la nobiltá del dare, ed esso donatore è schernito da la rustichezza di quel che riceve. Si che pensate piú a ciocché io dico, che non avete pensato a mandarmi i danari e il drappo. E, quando pur vi piaccia che io mi rimanga ne l’obligo, togliete da me una estrema volontá, che io averò sempre di riconoscere il beneficio. E il