Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/54

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LIBRO PRIMO ci aggiugnete due botti di vino preziosissimo con molti presentai di Friuoli appresso. Ed è il vero che una fiera e un mercato non mi averia dato, per i miei danari, quel che ho avuto da la vostra cortesia, senza; non mi scordando perciò i dieci zecchini, che Lionardo, mio piú che figliuolo, mi diede da parte vostra, né anco i dieci scudi, dei quali fu apportator Mazzone, mio famiglio. Onde non posso dir se non che tal séte qual eravate; e il favore estremo che vi fece Leone, mentre come vero signore il serviste in camera, fu poco a la degnitá vostra, la qual conobbe la corte ne la maniera che l’ho conosciuta io. E perciò vi son servitore. L>i Venezia, il 26 di novembre 1533.

XXXIX

AL GRAN CARDINALE IPPOLITO DEI MEDICI

Finge di volersi recare a Costantinopoli, perché in Italia non si sente sicuro. Essendo io, signore, obligato a la cortesia del re Francesco e del cardinale Ippolito, che mi han rilevato alquanto da la necessitá in cui sono per quella invidia, con la quale i miei nimici vinsero la bontá di Sua Beatitudine, non ardirei movermi per Constantinopoli, dove mi tira la liberalitá del Gritti e dove mi trascina la povertá mia, se prima non ve ne facessi motto, come ho mandato a farne a Sua Maestá; ché, degnandosi comandarmi cosa alcuna in quelle parti, vi servirò con quel core che un giusto serve Iddio. E cosi l’Aretino, uomo verace, eccetto nei biasimi che le troppo aspre cagioni mi hanno fatto dare a nostro signore, misero e vecchio, se nc va a procacciarsi il pane in Turchia, lasciando fra i cristiani felici i roffiani, gli adulatori e gli ermafroditi, corgnuole dei principi, che, chiudendo gli occhi a lo essempio che gli pone inanzi la vostra reai natura, tanto vivono quanto veggiono mendicare quei buoni,