Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/55

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ai quali porgete la mano larga a tutte l’ore e in ogni luogo. Ora, con licenza vostra, io, che ho ricomperato il vero col proprio sangue, me ne andrò lá; e, nel modo che altri mostra i gradi, l’entrate e i favori acquistati ne la corte di Roma per i suoi vizi, mostrerò le offese ricevute per le mie vertú, il cui spettacolo, che mai non ha mosso a pietá questi signori, moverá a compassione quelle fere. E quel Cristo, che a qualche gran fine mi ha campato tante volte de la morte, sará sempre meco, perché io tengo viva la sua veritá, e ancora per esser io non pur Pietro, ma un miracoloso mostro degli uomini. E, per fede di ciò, solo io ho il core ne la fronte; onde può vedere il mondo con che effetto io vi osservi. Ben so che io faccio ingiuria a la grandezza vostra col partir mio, disperando di quella sua grazia, con la quale consola gli afflitti. Ma n’è cagione la paura che mi fanno gli anni e il sospetto che io ho de la malignitá di alcuni, che, non mi potendo perdonare per avermi offeso, potrebbero raffredare il caldo voler di farmi bene. E poi delibero di predicarvi ne lo Oriente, si come l’ho predicato fra noi, onde vi reveriranno le genti che non conoscono la riverenza. Io, nel divorzo che faccio da la Italia forse per sempre, non piango le cagioni del mio esilio, ma il non le aver lasciato testimonio de l’amore che io vi porto, come le lascio de l’odio che io porto agli altri; benché mi conforta la speranza, che io ho, di suplire ne la nuova sorte al mancamento de la vecchia fortuna. E consenta Dio, prima che io muoia, che possa pagare quella vostra propria cortesia, che, mosso inverso me, volontariamente venne ad aiutare i bisogni miei. Io parlo con l’anima sincera, svelata da la fraudo e d’ogni adulazione, le quali fanno me misero per aborrirle e altri beato per osservarle. Di Venezia, il 19 eli decembre 1533.