Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/84

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persegue va in fumé, di che dubita la felice fortuna vostra? E le bascio quella sacra mano, adorata e temuta da tutti quelli che la provano per fede, per la liberalitá e per armi.

Di Venezia, il io di marzo 1536.

LXIV

AL SIGNOR GIOVANNI DANDALOTTO

Lo prega di sollecitare l’invio del dono promessogli giá da due anni da Ferdinando d’Austria. L’effetto che non ha mai avuto il dono, che per favor di Vostra Signoria promesse di farmi il gran fratello de Pimperadore, ingiuria la sua corona, offende la vostra intercessione e disonora la mia vertu. Ingiuria lui, perché si disconviene a un re il ritardare la cortesia; offende voi, perché l’indugio toglie riputazione a la grazia che tenete con Sua Maestade; disonora me, perché pare che per iscornarmi, giá due anni sono, me si facessi cotal promessa, de la quale è piena Italia e Francia. E perciò la gentilezza vostra ripari, con il far che venga tosto, ai tre sopradetti errori in un tratto. Movasi caldamente il cesareo cavalierizzo. Ché, da l’armi in fuora, donde potete ritrar piú lode di quello che ritrarrete aiutando chi vi può accrescer fama? Si che non mancate a voi stesso, né a chi in voi spera e, sperandoci, pensa al modo di sodisfare a l’obligo in cui mi porrá il bene che mi farete, se aviene che s’adempia la parola d’un si largo principe. E siate pur certo che la cortesia, che si conduce, inanzi a l’altrui necessitá, a l’estremo, è una villania espressa. Ma egli è pur vero che la menzogna ebbe origine da la bocca dei gran maestri. E, se vi pare che io dica male, fate si che la Maestá Sua imiti l’Eccellenza d’Antonio da Leva, il quale, mentre io gli dissi ciò che vi dico ora, mi diede una mentita con due coppe d’oro. Di Venezia, il io d’aprile 1536.