Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/194

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le cose che hanno scritte, obliarò colui da me conosciuto per le proprie scritture e per la istessa presenza? Ancora che la frequenzia de le lettre sia uffizio de la servitú e de l’amicizia, e che perciò si comprenda l’amor di chi le manda e il merito di chi le riceve, io, che vi sono servitore e amico, ho supplito al mancamento del non vi aver mai indrizzato carta alcuna, con le prediche, che io faccio continuamente, de le splendide virtú di Vostra Signoria. Testimonio il Serlio, architetto egregio e divoto osservatore del dotto nome di Quella ; onde sará cosa degna de la benignitá vostra, se il favor di voi milita in suo servigio appresso di Sua Maestá, la clemenza del quale, ne lo accettare un suo libro, oltre lo eleggerlo generale sopra le fabriche regie, gli promesse trecento scudi per sostegno dei suoi besogni. Ma qual opera può fare il re, che aguagli di pietá quella che gli osservará la promessa? Se io conoscesse cotal uomo indegno di esser povero, direi che la povertá stesse bene; ma, essendo egli persona non meno catolica che vertuosa, si dovrebbe pagar lo indugio con doppio dono. Percioché le cortesie ottimamente allogate si assimigliano a le grazie divine; ed è certo che, quando i principi non dánno a le genti famose, non pur tolgono le lodi a se medesimi, ma vituperano la liberalitá, madre dei benemeriti, e onorano l’avarizia, matrigna dei benefizi. Ma, perché il gran Francesco sempre si è fatto vedere ne le prosperitadi fortunato e ne le calamitá forte, si debbe pensare che anco ne le quiete si mostrará magnanimo. Intanto degnativi che chi vi dá questa vi basci la mano in mio scambio.

Di Vinezia, il 13 di novembre 1539.