Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/39

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future, dimostrando al mondo che potete giovare non meno a coloro che saranno che a quegli che sono, aviate ancora tempo di scrivermi cosi spesso e cosi acuratamente? Oltra di ciò, come può essere che la villania del mio non vi rispondere causi la pacienzia, che ve lo fa soffrire? Ma perché dico io tali cose, conoscendo la perfezzione de la prudenzia e de la modestia, che move gli atti del vostro provido e moderato spirito? Le innate caritá di lui guardano a ciò che è di sua natura e non a quel che saria di mio dovere, e, sodisfacendosi ne la certezza de la riverenza che io gli ho, vogliono che gli uffizi propri bastino per lui e per me. Atto veramente degno de la bontá, che vi prepone a tutte l’altre vostre risplendenti virtú. Ma perché non sono io di tanto potere, di quanto son di giudicio? Certo, se io fusse tale, che io potessi darvi quel che vi devrebbe chi può, isvergognarei, con aguagliare il premio al merito, le Santitá papali e le Maestadi regie. E ben sarebbe il farlo, da che eglino, ciechi al lume di cotanta luce, rivolgono le lor mercedi in grado de la ignoranzia e del vizio. Benché la sentenza di Dio permette ciò, conciosiaché ella non vòle che la disonestá loro sia ricoperta da la gratitudine dei vertuosi. Si che vivete lieto, e sia il piacere, che il vostro bello animo ritrae da la fama, che in perpetuo ha saputo procacciarsi lo onorato nome di voi, in iscambio dei monumenti, con cui par che ci feliciti quella fortuna, che ad altro non attende che a gradire i rei e a disgradare i buoni. Intanto non vi incresca di raccomandarmi al generoso, al prestante e al dotto messer Alberto del Bene, la cui nobile oppenione si avanza di maniera sopra la qualitá mia, che, come non sarò mai quel che esso stima ch’io sia, cosi non potrò in verun tempo ringraziarlo de lo aver detto ciò che gli par ch’io meriti.

Di Vinezia, il n di giugno 1538.