Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/67

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nobiltá, che ebbero in terra le celesti bellezze de l’alma Beatrice. Intanto, ecco lei sopra una nube d’oro, vestita di lume, cinta di splendore e coronata di lampi. Il suo volto, tinto de la porpora, di che fiammeggiano le gote degli angeli, luceva immortalissimamente; i suoi occhi, ravivati ne la lettizia de la soprana gioconditá, sfavillavano con affetti d’amore doni di grazia. Leggevasele ne la inclita fronte in lettre di sole tutte le vittorie prescritte dal Creatore eccelso al giusto de la clemenza Augusta. Ella, girando il guardo in ogni parte de l’universo, scorgeva fino a le genti dei climi incogniti intente agli onori cesarei ; e, offra il vederla deificare da le palme, da le corone, da le spoglie, da le statue, dagli archi, dai carri, da l’armi, dai tempii, dagli affari e dai voti, gioiva con modo ineffabile, udendola celebrare non pur dagli inni degli uffici catolici, ma da le note de le virtú dei cieli, le quali, con istupore de le sfere e dei segni, rapresentano ne la lode di Dio il merito del gran Carlo. Mentre l’ancilla superna, abbagliata da la propria gloria e raccolta ne la istessa beatitudine, si nutriva de le divinitá dei suo mirabile cognato, parea dirmi in suono di molte acque: — Egli è ingegno odiato da le stelle e intelletto riprovato dagli uomini quello che non registra con nuova memoria nel catalogo de la eternitá il nome santo del grande imperadore, il cui supremo core è vampo di bontade, raggio di clemenzia, luce di caritá, lampa di fede, face di religione e fuoco di zelo. — Ciò detto, refulgendo con splendore inusitato, amonitomi in dedicargli il nascer, il vivere, il morire, il risuscitare e lo ascendere in cielo del Figliuolo di Dio, dopo tre tuoni, destommi e sparve. Onde io, non per cupiditá di fama, non per pompa d’intelletto, non per isperanza di premio, ma per ispirazione divina, per consenso fatale e perché debbo farlo, intitolo i quattro libri de 1’ Umanitá di Cristo a la religiosa divozione del vostro sommo consorte; e la porgo a voi che séte degna, a voi che séte giusta, a voi che séte pia, perché la Sua Maestá dignissima, giustissima e pietosissima riceva con piú fervore le carte divote, che divotamente vi apresento.

Di Vinezia, il 2 di luglio 1538.