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DCCXLV

AL CAPITAN BUMBAGLINO

Quale felicitá l’aver appresa falsa la notizia della morte del Bumbaglino! E come è pentito di avere fin qui poco curato un parente, nel quale il valore è pari alla liberalitá! Certo ch’ io non pensava, circa il non aver mai salutato voi, che mi séte onorando parente, di averne a patire altro che nel biasimo che me ne dá fino a la propria conscienza. Ma io ne son rimasto ingannato; imperoché, intendendo dal nostro niesser Nofri Camaiani come voi eravate morto, ne presi tanto fastidio, che bastò a punirmi de lo errore commesso nel caso sopradetto. Certo ch’io vi piansi non solo con gli occhi miei, ma con quegli di tutta la patria. Imperoché non nasce cosi tosto un giovane, che, mentre mette in opra le sue militari virtú, promette di sé quel tanto che altri ne desidera. Divisandomisi di voi la disposizione de la persona, la prontezza de le membra, la grazia dei movimenti, la terribilitá de lo aspetto, la forza de le braccia, la generositá de l’animo, la sicurezza del parlare e l’affabilitá de la conversazione, mi parse vedere un soldato simile a quegli che bramava il signor Giovanni, e nel modo che vogliono essere. Ma, perché ogni cosa è minore de la liberalitá, vi tengo supcriore a tutti, da che per ciascuno spendete. Il duce, che vòle acquistar gloria, non può avanzar oro. Non ha che lare l’avarizia con la milizia. Sia pure di buon credilo un cavaliere, e sará ricco. Diventi mercante chi è avido di danari, conciosiaché Marte non cambia per Lione né per Fiandra. Attendete, figliuolo, a ringrandire il nome coi fatti illustri, e sia il vostro fine la lode universale, imperoché i premi secondono sempre le orme dei meriti. Lo stato di voi è la istessa vertude vostra, ed ella dee guidardonarvi al tempo debito. E però seguitate il principio che voi medesimo avete saputo dare a voi proprio; seguitatelo, dico.