Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/107

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iv - capitoli 101

     30questo fu inganno, e piú dirò che tocca
di tradimento, ma di par la fede
e per questo e per quel morta trabocca.
     A queste colpe ogn’altra colpa cede;
piú si perdona all’omicidio e al furto
35ch’al pergiurarsi e all’ingannar chi crede.
     Né mi duol sí che ’l vostro attener curto
m’abbia sumerso al fondo del martire,
al fondo, onde non son mai piú risurto;
     come che per vergogna né arrossire
40né segno alcuno per la fede rotta
di pentimento in voi veggio apparire.
     La fede mai esser non dee corrotta,
o data a un sol o data ch’odan cento,
data in palese o data in una grotta.
     45Per la vil plebe è fatto il giuramento,
ma tra li spirti piú elevati sono
le simplici promesse un sacramento.
     Voi, donne incaute, alle quali era bono
esser belle nel cor come nel volto,
50l’un di natura, e l’altro proprio dono,
     troppa baldanza e troppo arbitrio tolto
v’avete, e di poter tutte le cose
forse vi par, perché potete molto.
     Se da le guance poi cadon le rose,
55fuggon le grazie, se riman la fronte
crespa e le luci oscure e lacrimose,
     se l’auree chiome e con tal studio cónte
mutan color, se si fan brevi e rare;
de’ vostri danni è vostra colpa fonte.
     60De la vostra beltá che cosí spare,
forse Natura prodiga non fora,
se voi di vostra fé fusse piú avare.
     Ma donna in nessun loco, a nessun’ora
d’ordire inganni altrui mai s’ebbe loda,
65sia a chi si vuol, né alli nemici ancora.