Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/86

Da Wikisource.
80 iv - capitoli

VIII

Un inno di gaudio prorompe dal labbro del poeta
nel descrivere una gioconda notte d’amore.

     O piú che ’l giorno a me lucida e chiara,
dolce, gioconda, aventurosa notte,
quanto men ti sperai tanto piú cara!
     Stelle a furti d’amor soccorrer dotte,
5che minuisti il lume, né per vui
mi fur l’amiche tenebre interrotte!
     Sonno propizio, che lasciando dui
vigili amanti soli, cosí oppresso
avevi ogn’altro, che invisibil fui!
     10Benigna porta, che con sì sommesso
e con sì basso suon mi fusti aperta,
ch’a pena ti sentì chi t’era presso!
     O mente ancor di non sognar incerta,
quando abbracciar da la mia dea mi vidi,
15e fu la mia con la sua bocca inserta!
     O benedetta man, ch’indi mi guidi;
o cheti passi che m’andate inanti;
o camera, che poi cosí m’affidi!
     O complessi iterati, che con tanti
20nodi cingete i fianchi, il petto, il collo,
che non ne fan piú l’edere o li acanti!
     Bocca, ove ambrosia libo, né satollo
mai ne ritorno; o dolce lingua, o umore,
per cui l’arso mio cor bagno e rimollo!
     25Fiato, che spiri assai piú grato odore
che non porta da l’indi o da sabei
fenice al rogo, in che s’incende e more!
     O letto, testimon de’ piacer miei;
letto, cagion ch’una dolcezza io gusti,
30che non invidio il lor nettare ai dèi!